di Massimo Mastruzzo*
La salute non è un privilegio: è un diritto. O meglio dovrebbe esserlo, perlomeno questo è quello che ogni cittadino suppone. In Lombardia, però, si sta compiendo un passaggio che segnerà il futuro della sanità pubblica in tutto il Paese. Con la delibera XII/4986 del 15 settembre, la Giunta Fontana ha autorizzato gli ospedali pubblici a stipulare convenzioni con assicurazioni private e fondi sanitari integrativi.
In apparenza è una misura “tecnica”, presentata come strumento per ridurre le liste d’attesa e valorizzare risorse inutilizzate. In realtà, introduce un principio nuovo e pericoloso: chi ha una polizza salta la fila, accedendo più rapidamente a visite, esami e ricoveri nel pubblico. Dentro lo stesso ospedale, con gli stessi medici e le stesse macchine, si crea una corsia preferenziale per chi può pagare.
È la legittimazione di un sistema sanitario a due velocità, dove la salute non è più un diritto universale, ma un bene di consumo.
Un modello che divide
La Lombardia da anni è il laboratorio di una crescente commistione tra pubblico e privato.
Fin dai tempi di Formigoni, la Regione ha finanziato con risorse pubbliche strutture private accreditate, spostando progressivamente l’asse del sistema verso la logica del profitto. Oggi, con questa nuova delibera, si compie un ulteriore salto: gli ospedali pubblici stessi diventano strumenti del mercato assicurativo.
Mentre il Fondo Sanitario Nazionale continua a perdere peso — destinato a scendere al 5,9% del PIL entro il 2028 — le Regioni dovranno affrontare un buco di oltre 6 miliardi di euro già nel 2026. Meno fondi pubblici, più spazio ai privati. Meno diritti, più disuguaglianze. Le conseguenze reali sono una sanità sottofinanziata e parzialmente privatizzata che genera due effetti immediati facilmente intuibili:
- Taglio dei servizi pubblici, con liste d’attesa sempre più lunghe.
- Spinta verso il privato, spesso presentata come “scelta libera”, ma in realtà imposta dalla mancanza di alternative.
In questo scenario, cresce anche la migrazione sanitaria: migliaia di cittadini costretti a spostarsi da Sud a Nord per curarsi, affrontando costi, stress e disagi enormi. Un meccanismo che penalizza sia chi parte sia chi accoglie, perché sovraccarica le strutture e altera gli equilibri del sistema.
L’equità come unica bussola
Il Movimento Equità Territoriale denuncia con forza questa deriva. Crediamo che la salute non debba dipendere dal reddito, dal CAP di residenza o da una polizza assicurativa e chiedo una una scelta politica chiara:
- rifinanziare adeguatamente il Servizio Sanitario Nazionale;
- rafforzare la sanità territoriale e i servizi di prossimità;
- combattere la migrazione sanitaria attraverso un riequilibrio reale tra le regioni;
- restituire al SSN la sua missione originaria: garantire equità, universalità e solidarietà.
La vera questione non è “pubblico o privato”, ma che tipo di società vogliamo costruire. Vogliamo un Paese dove la salute è un diritto garantito dallo Stato per tutti, o uno in cui si cura solo chi può permetterselo, mentre gli altri restano in coda o rinunciano?
Le risposte non possono essere affidate al mercato.
Spetta alla politica – e a ciascuno di noi – scegliere da che parte stare.
*Direttivo nazionale MET
Movimento Equità Territoriale
(26 ottobre 2025)
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